Vietato prescrivere farmaci che blocchino la pubertà ai minori. È quanto stabilito dal Dipartimento britannico della sanità e dell’assistenza sociale per arginare la possibilità di accesso alle terapie ormonali mediante il canale delle cliniche private, affinché sia effettivamente rispettato il divieto vigente del servizio sanitario nazionale inglese (Nhs) in materia di transizione di genere.
La nuova legge vieta la somministrazione per tre mesi – dal 3 giugno al 3 settembre – e in questo periodo, infatti, sarà vietato ai medici prescrivere terapie ormonali e farmaci bloccanti la pubertà ad adolescenti e giovani al di sotto dei 18 anni che presumano di essere nati nel corpo sbagliato. «Durante questo periodo a nessun nuovo paziente sotto i 18 anni verranno prescritti tali medicinali allo scopo di sopprimere la pubertà in coloro che soffrano di disforia di genere», afferma esplicitamente il nuovo regolamento, che però ammette nel contempo la possibilità di continuare tali terapie per coloro che abbiano già cominciato le cure prima della sua entrata in vigore.
Questa modifica legislativa costituisce sicuramente un segnale positivo dell’avvenuta ricezione delle nuove linee guida cliniche in materia emanate dal servizio sanitario nazionale lo scorso marzo, le quali sconsigliavano di somministrare farmaci bloccanti la pubertà ai minori, a causa di prove insufficienti della loro sicurezza e degli effetti devastanti e spesso irreversibili sul benessere psicofisico dei più giovani.
E in effetti uno studio particolarmente documentato pubblicato sulla Cass Review e condotto per il Nhs dalla dottoressa Hilary Cass – pediatra ed ex presidente del Royal College of Pediatrics and Child Health – ha dimostrato recentemente come la pratica clinica di prescrivere trattamenti ormonali ai minori sia basata su «fondamenta traballanti» e non sia né sicura né tanto meno efficace. Tale rapporto offre pertanto suggerimenti alternativi, partendo dal presupposto che bambini e adolescenti debbano essere considerati quali «persone nella loro integralità e non solo attraverso la lente della loro identità di genere». D’altra parte, come osserva la stessa pediatra inglese, «per la maggior parte di essi un percorso medico di transizione non è stato il modo migliore per gestire il loro disagio».