«Preservare equità e sicurezza nelle categorie sportive femminili». È stata questa la richiesta avanzata recentemente alla comunità internazionale presso la sede delle Nazioni Unite da parte di atlete e leader internazionali. Tra queste la nuotatrice olimpica Sharron Davies, l’atleta universitaria statunitense Lainey Armistead, la Ceo di Alliance Defending Freedom (Adf) Kristen Waggoner e la relatrice alle Nazioni Unite contro la violenza sulle donne Reem Alsalem.

«La Virginia Occidentale ha una legge che garantisce che solo le donne biologicamente tali possano competere negli sport femminili. Eppure ho sentito molte storie di donne messe da parte, persino ferite mentre gareggiavano contro uomini negli sport femminili. Solo negli ultimi tre anni l’unico atleta maschio a cui è stato permesso di competere contro le ragazze in Virginia Occidentale ha già destituito quasi 300 ragazze. Quando agli uomini è consentito competere nelle squadre femminili è demoralizzante, ingiusto, semplicemente sbagliato», ha dichiarato Armistead, ex atleta universitaria.

«Le donne sono svantaggiate fisicamente. Questo non significa che siamo peggiori o migliori, significa solo che siamo biologicamente diverse», ha sottolineato Sharron Davies, che ha gareggiato come nuotatrice in tre diverse Olimpiadi, ribadendo di non conoscere «una sola persona che voglia escludere qualcuno. Tuttavia, vogliamo vedere le donne praticare uno sport equo e sicuro. E non possiamo aspettare che una donna si ferisca gravemente o, peggio ancora, venga uccisa, prima di poter fare i conti con la scienza, l’ovvio e il buon senso».  

«Il diritto internazionale ha da tempo riconosciuto l’uguaglianza e la non discriminazione, anche in base al sesso, quale pilastro fondamentale dei diritti umani. Purtroppo però molti Paesi non stanno rispettando i loro obblighi in materia di diritti umani nei confronti di ragazze e donne nello sport. Abbiamo imparato a nostre spese che se gli sport femminili non vengono protetti, ciò arreca gravi danni alle donne. La nostra speranza è che la comunità internazionale rivolga la sua attenzione a tale problematica, assicurando che le atlete siano protette da danni e umiliazioni. Il nostro appello è che si impari dagli errori che sono stati commessi per garantire uno sport più equo e sicuro», ha osservato Kristen Waggoner nel testimoniare il costante impegno svolto da ADF International per proteggere le categorie sportive femminili. 

A questo coro di voci tutto al femminile si è unita infine anche Reem Alsalem – relatrice speciale alle Nazioni Unite sulla violenza contro le donne –, la quale ha tuonato contro la discriminazione delle donne perpetrata allorquando si consente ai maschi sedicenti donne di rientrare nella categoria femminile, compromettendo in questo modo il diritto delle atlete «di competere in sicurezza, dignità ed equità». Si tratta di «una delle forme più eclatanti di violenza contro le donne, poiché l’essenza della dignità femminile viene intenzionalmente messa da parte e ignorata, con conseguente disagio, dolore, umiliazione, frustrazione e rabbia per l’ingiustizia che si subisce». A tal proposito, già nel dicembre 2023, la Alsalem metteva in guardia l’amministrazione Biden che modificare la definizione di donna nel Titolo IX (legge ideologica per la tutela dell’identità di genere) avrebbe comportato «la perdita della privacy, un aumento del rischio di lesioni fisiche, una maggiore esposizione a molestie sessuali e voyeurismo, nonché un disagio psicologico più frequente dovuto alla violazione della dignità, anche mediante lo svolgimento di competizioni sportive e accademiche né eque né paritarie». 

Fonte: ProVita e Famiglia

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