“La gente veniva a Roma per vedere Karol Wojtyla; veniva per ascoltare Benedetto XVI e viene ora per incontrare Papa Francesco”. Vedere, ascoltare e incontrare sono dunque tre verbi che condensano l’atteggiamento sostanziale dei fedeli nei confronti degli ultimi tre pontefici. Parafrasa l’espressione del cardinal Tauran monsignor Dario Edoardo Viganò, nell’iniziare il suo racconto della comunicazione di Papa Francesco, colui che definisce subito come “l’uomo della prossimità”. Quand’era direttore del Centro Televisivo Vaticano, mons. Viganò aveva raccontato l’ultimo saluto di Benedetto XVI mentre sorvolava su Roma verso Castel Gandolfo. Lo aveva fatto con discrezione, sfruttando tutta la potenza delle immagini e rievocando l’apertura de ‘La dolce vita’ del celebre film di Fellini. Ora egli è prefetto della Segreteria della comunicazione della Santa Sede, e dunque a capo di un progetto di riforma dei media vaticani.
In un’intervista pubblica con Pierluigi Sassi, presidente di Earth Day Italia, mons. Viganò ha focalizzato principalmente la sua attenzione sui diversi aspetti della comunicazione del pontefice argentino: “Questa la differenza e lo specifico di Papa Francesco, che è l’uomo della prossimità. È certamente una prossimità fisica, ma anche legata a situazioni concrete. Nessuno si percepisce come opponente a ciò che lui racconta, cioè il Vangelo di felicità per l’umano. Per questo motivo affascina credenti e non credenti”. Rispetto alle nuove sfide comunicative che attendono la chiesa di Francesco, egli ha sottolineato innanzitutto il contesto postmediale in cui viviamo, ove “i media hanno perso il loro connotato identitario” e la connessione digitale subentra prepotentemente all’incontro reale con una persona. Pur considerando che attualmente “il contagio della fede non avviene più come una volta, imparando una preghiera sulle ginocchia della propria madre” e che “la parrocchia non è più semplicemente un territorio, ma è anche la rete dei legami on-line e off-line, il problema di comunicazione della Chiesa non è un problema di tecnologia”. Non si tratta quindi di trasferire i medesimi contenuti dei bollettini parrocchiali dalla carta stampata al portale, bensì di operare una “convergenza digitale”, ossia di “elaborare contenuti multimediali, immagini, videonews e podcast, sfruttando tutto il potenziale della rete per collegare popoli e culture”. Consapevole che “il Vangelo ha a che fare con la vita concreta delle persone”, Viganò ha precisato scherzando, ma con un giudizio netto: “Non credo si possa arrivare alla cyberparrocchia, un concetto tanto enfatizzato quanto evanescente”.
Nel merito dei contenuti della comunicazione, lo spin doctor del Papa ha evidenziato che quella di “Francesco non è una teologia del vittimismo. Egli insiste sull’uomo peccatore, perché nel peccato scorgo la forza di Dio che si fa carne della mia carne per salvarla. Non che, banalmente, la Chiesa sia oggi di manica larga”. Per sgombrare il campo da fraintendimenti più o meno intenzionali, Viganò ha affermato infatti, senza mezzi termini, che Francesco è ben lontano dal cedere a condizionamenti esterni, anzi “decide molto lui, sulla base di criteri che sono i suoi e non di altri; ha anche molto fiuto e, dove non arriva, domanda”. Per cui, anche allorquando si concede ai selfie, Bergoglio non lo fa in maniera narcisistica, ma perché comprende l’importanza della condivisione, presentandosi “come corpo che si consegna, come carne di Cristo”. Confrontando le immagini del primo affaccio dopo l’elezione da parte del pontefice regnante e di quello emerito, Viganò ha invitato inoltre a notare come, al contrario di quanto ci si aspetterebbe, pare che i due si scambino le personalità, nel senso che “Benedetto XVI gesticola e assume un modo di muoversi da sudamericano, mentre Bergoglio si mostra con le braccia distese lungo i fianchi, come corpo che si consegna”.
Anche se “ha una radio, ma non la televisione”, Papa Francesco si mantiene al passo coi tempi, per essere “compagno della cultura digitale”. Lo ha manifestato, con un linguaggio chiaro e diretto, soprattutto nel suo videomessaggio ai giovani allorquando, mostrando un iPhone, ha sottolineato che senza Gesù non c’è campo. Infine il prefetto della Segreteria della comunicazione della Santa Sede ha rivelato che la stessa scelta del pontefice di visitare le parrocchie periferiche “è strategica, perché dove si muove lui, porta l’attenzione su di esse”, affinché tali realtà non siano considerate come dei dormitori, ma siano riscoperte quali “luoghi di socialità da cui è possibile vedere meglio il centro”. Allo stesso modo Viganò ha ricordato l’autoironia del pontefice argentino, che avrebbe guardato con simpatia ai murales di Borgo Pio che lo ritraevano come un supereroe, per cui chi li ha poi coperti ha reso un cattivo servigio alla genialità del popolo romano. Insomma, “in un sistema digitale dove tutto è riconducibile a 0 e 1 e in cui la verità sta più nelle sfumature che non nelle polarizzazioni”, è necessario che giornalisti e operatori dei mass media mettano “un paio di occhiali spirituali per raccontare la Chiesa” e la comunicazione di Papa Francesco in maniera adeguata ed efficace all’uomo del nostro tempo.