«L’Uomo della Sindone può essere Gesù? Per rispondere a un interrogativo di questa portata sono scese in campo almeno trenta diverse discipline: anatomia, antropologia, archeologia, botanica, biologia, chimica, diritto romano, eidomatica, esegesi biblica, fisica, fotografia, iconografia, informatica, matematica, medicina legale, microbiologia, microscopia, numismatica, paleografia, palinologia, patologia, radiologia, scienza dei tessuti, spettroscopia, statistica, storia, storia dell’arte, teologia, traumatologia, usi ebraici di sepoltura».
Le principali scoperte storico-scientifiche di tali discipline sono raccolte accuratamente, mediante un’attenta e approfondita ricognizione dei molteplici studi effettuati da diversi specialisti, nel recente volume Via Sindonis. La Passione di Cristo documentata dal Sacro Lino (Ares 2022, pp. 342) della sindonologa di fama internazionale Emanuela Marinelli. Muovendo dalla contemplazione delle ferite impresse sul Sacro Lino, il volume propone anche un’inedita Via Crucis con le meditazioni di don Domenico Repice accompagnata da 15 tavole iconografiche.
Il volume si apre con un breve excursus storico che, riprendendo alcuni indizi significativi della presenza della Sindone sin dai primi secoli, ripercorre le tappe della sua peregrinazione, dalla comparsa a Lirey a metà del XIV secolo all’attuale custodia nel duomo di Torino, passando per il tragico incendio del 1532 che la danneggiò pesantemente quando le fiamme divamparono nella Sainte-Chapelle del castello di Chambéry. È questa solo una delle tante vicissitudini della sua storia che ha tra l’altro contribuito a determinarne la datazione medievale ottenuta con il test radiocarbonico, i cui risultati sono poi stati smentiti dalle indagini scientifiche più recenti. E in effetti i campioni prelevati per il test del 1978, giudicati nel 2019 dalla rivista scientifica Archaeometry «disomogenei e non rappresentativi dell’intero lenzuolo», non hanno tenuto conto né dell’incendio; né della presenza di funghi e batteri; né del fatto che, durante le ostensioni pubbliche, la Sindone veniva sostenuta con le mani «rendendo gli angoli più soggetti a usura».
Analizzando il Sacro Lino, è possibile raccogliere una miriade di informazioni relative alle modalità di flagellazione e crocifissione romana e riscontrare, nel caso particolare, «le ferite al capo dovute a una corona a cappello di spine, i traumi del volto, le tracce di una abbondante flagellazione, le abrasioni lasciate sulle spalle dalla trave orizzontale della croce (il patibulum), i segni delle cadute, i fori provocati dai chiodi ai polsi e ai piedi, il colpo di lancia al costato che documenta le cause della morte avvenuta verosimilmente per infarto seguito da emopericardio». Nello specifico, «dagli esami risulta che le macchie di sangue si sono formate per contatto diretto, mentre le immagini corporali sono una specie di proiezione e non hanno linee nette di demarcazione perché sugli orli il colore gradatamente svanisce», sebbene «la finezza delle sfumature risulti molto più evidente sul negativo fotografico che dal vivo». Gli usi di sepoltura giudaici emergono nella tessitura a spina di pesce del lino, dal rinvenimento di olio di elicrisio, aloe, mirra e di 58 specie di pollini, delle quali «38 non esistono in Europa, 17 sono tipiche e frequenti a Gerusalemme e dintorni, mentre 13 sono alofite molto caratteristiche o esclusive del Negev e della zona del Mar Morto», avvalorando la tesi della presenza della Sindone a Gerusalemme prima di giungere in Europa.
Il sangue umano presente sul Sacro Lino, di gruppo sanguigno AB (lo stesso del miracolo di Lanciano e del Sudario di Oviedo), è stato anche sottoposto a una radiazione di luce ultravioletta. È questo il frutto degli studi degli scienziati dell’ENEA di Frascati che, sulla base di ‘un’autopsia virtuale’, confermano che «è certo che il corpo sia rimasto nel Telo solo poche ore, imprimendovi la sua straordinaria immagine». Su di esso non è riscontrabile alcun segno di putrefazione del corpo e «resta inspiegabile come il contatto tra corpo e lenzuolo si sia interrotto senza alterare i decalchi che si erano formati». Basti pensare che «normalmente circa trenta ore dopo la morte inizia l’emissione di gas ammoniacali dalla cavità orale. Se questo si fosse verificato si vedrebbe, attorno all’impronta delle labbra, un alone scuro che invece non è presente, mentre si può osservare la rima labiale lineare non deformata». Grazie alle immagini tridimensionali del Sacro Lino, sono state rinvenute anche tracce di probabili iscrizioni e di monetine all’altezza delle sopracciglia, «usanza pagana che poteva aver fatto breccia nella consuetudine ebraica». Tuttavia le conferme della sua autenticità derivano infine soprattutto anche da una sorprendente corrispondenza tra i risultati degli studi sindonici e quanto raccontato nei Vangeli relativamente alla Passione, a partire dalle tracce dell’ematidrosi riconducibili al sudore di sangue nel Getsemani, e poi rappresentato nell’iconografia di Cristo.
Nelle sue meditazioni sulla Via Crucis alla luce della Sindone, don Repice sottolinea infatti che «nell’immagine del volto dell’Uomo della Sindone sono evidenti numerosi colpi riconducibili a quelli narrati dai Vangeli: il viso è stato colpito da un bastone, la cui traccia si nota sulla guancia destra e sul naso; lo zigomo destro presenta una tumefazione; la palpebra sinistra ha un grumo di sangue; dal naso fuoriescono due rivoli di sangue; sotto il labbro superiore altre macchie di sangue; il naso è ammaccato e la sua punta sembra avere una leggera deviazione; le sopracciglia sono ferite; le palpebre hanno ecchimosi». Allo stesso modo egli sottolinea che, oltre «alle centinaia di ferite dovute alla flagellazione e al trasporto del patibolum, nell’immagine sindonica sono sufficientemente chiari i segni riconducibili alle cadute. Le ginocchia risultano scorticate e su quella sinistra ci sono tracce di sangue e terra. Anche il naso è escoriato e ci sono tracce di materiale terroso». E ancora, «sulla schiena si nota una cintura di sangue, fuoruscito dalla ferita del costato e che è andato ad accumularsi in quel modo per la probabile presenza di un tessuto posto all’altezza dei glutei, che ne copriva le nudità».
Di qui don Repice ribadisce che «accogliere la croce di Cristo significa anche affrontare coraggiosamente la vita, senza viltà, trasformando in energia le inevitabili difficoltà dell’esistenza, manifestando la propria disponibilità ad accettare di prendere nella propria vita la forma della croce, la logica della croce, per trasformare il mondo», nel desiderio vivo «di interpretare le piaghe della nostra esistenza alla luce di quelle di Cristo, nello spazio dell’amore di Maria. Sorgente di forza e di energie spirituali, il Crocifisso rivela l’amore infinito che dà valore a tutte le fatiche e a tutte le sofferenze».
Sulla base di quanto evidenziato con dovizia di particolari in questo volume dalla sindonologa Marinelli e da don Repice, la Sindone si rivela davvero come «un quinto Vangelo della Passione, scritto con il sangue stesso di Cristo» e, per dirla con San Giovanni Paolo II, quale «testimone muto della passione, morte e resurrezione di Cristo, ma nello stesso tempo sorprendentemente eloquente» di un Amore che non trattiene nulla per sé, neanche un centimetro del proprio corpo, divenuto tutto una piaga ardente di carità infinita per la vita del mondo.
Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana