Dio salva anche attraverso la musica e allora la musica diviene strumento fecondo per testimoniare il suo Amore misericordioso. Così è stato per Alessandro Gallo, 44 anni, cantautore dei Reale, che ha dato alle stampe Io non c’entro niente (Effatà 2024, pp. 288) nel quale ripercorre la sua avventura esistenziale.
«Ho ucciso un ragazzo. È successo venticinque anni fa e ci ho messo parecchio. Era affascinante, ma dannatamente pericoloso. Un paio di volte è quasi riuscito a togliermi la vita. Quel ragazzo ero io, e se ogni tanto puoi pregare davanti a una lapide con sopra la tua foto, allora ti rendi conto che hai una storia da raccontare», scrivi nel tuo libro. Alessandro, cosa vuoi raccontarci e condividere di quel ragazzo che eri e sulle cui macerie hai poi cominciato a ricostruire la tua vita?
«Uscendo dalla comunità Cenacolo, madre Elvira mi ha detto: “Mi raccomando, vai nel mondo ad aumentare la luce e non le tenebre, perché le tenebre il mondo le conosce già”. Senza addentrarmi troppo nelle tenebre di un ragazzo che si è perso nella droga, nell’alcol, nella ricerca del successo, tutto quello che ho fatto l’ho fatto per cercare la felicità. Vengo da una famiglia non disagiata, ma da genitori cattolici che mi hanno fatto fare tutto quanto c’era di bene nella Padova degli anni ’80, ossia scout, catechismo, Acr, fino ad averne una nausea totale perché mi sembrava che oltre la siepe dell’oratorio fosse tutto più divertente. Ho collegato così la religione a un enorme ‘no’ e la ricerca ossessionata della felicità mi ha fatto girare le spalle a tutti i valori; solo che appena giri le spalle al bene ti si spalanca l’autostrada del male. Ho cercato la felicità nelle cose che mi sembravano più facili e raggiungibili ma, sbattendo la faccia nella droga, nell’alcol, nel divertimento, nel sesso, poi rimani solo. Io sono stato un ragazzino inquieto, leggermente iperattivo, un po’ sopra le righe. Mi è sempre piaciuta l’arte, la musica ma, nella ricerca spasmodica del successo, ho trasformato anche il mio talento in una gabbia di male. Distruggendo ogni rapporto, perché niente era all’altezza delle mie aspettative – una ragazza, una band, un concorso non bastavano –, bruciavo qualsiasi esperienza, fino a fare un incidente gravissimo che è stato una sveglia incredibile che mi ha fatto render conto di esser solo e di aver bisogno d’aiuto. In quel momento la luce, Dio è arrivato mediante la mano tesa gratuita della comunità Cenacolo».
Nella comunità Cenacolo di Saluzzo muore l’uomo vecchio e rinasce il nuovo Alessandro anche grazie a suor Elvira. Nel libro scrivi che ella «vedeva dentro, vedeva oltre, vedeva il nostro cuore meglio di noi, sapeva i nostri doni prima di noi. L’amore vero, la preghiera concreta e la relazione continua con noi hanno reso i suoi sensi lucidi al punto da amare la nostra anima oltre le schifezze con cui arrivavamo in comunità. Ci amava come ama Dio. Ci vedeva come ci vede Dio». Chi è dunque madre Elvira per te?
«Era la libertà con le gambe. Erano due occhi che, senza dire una parola, ti sapevano muovere le viscere. Una trasparenza, una verità assoluta, che ha saputo lasciarsi guardare dallo Spirito fino a sparire nella fiducia alla Provvidenza. È stata gli abbracci, la mano, gli occhi, ma anche le sberle di Dio, per farmi riprendere in mano la mia vita. Lo è stata e lo è ancora oggi per migliaia di ragazzi favorendo un incontro molto concreto con Dio».
Così hai «ricominciato da zero attraversando la porta del cielo», come recita una tua canzone.
«Madre Elvira ha esercitato un fascino incredibile sulla mia sete di felicità. I suoi occhi raccontavano una libertà che non avevo mai incontrato in nessuno. Paradossalmente ero scappato dalle suore alle elementari e questa fame di orizzonte nuovo l’ho trovata proprio in una suora che stava dando la sua vita per me in quel momento. Per quanto gli orari della Comunità fossero scanditi dalla preghiera, sono stato affascinato dal modo in cui la fede non rimaneva nelle preghiere ma si calava nella relazione, aiutandoci a incarnare il Vangelo nella quotidianità. Ho scoperto che il mio cuore ribelle aveva bisogno di una vera ‘ribellione’, quella del Vangelo, di Cristo che ha sconvolto e continua a sovvertire i piani di tutti. Questa è stata la terapia più grande che ha aiutato le mie abitudini a guarire. La dipendenza fisica dalle sostanze è l’ultimo dei problemi; la cosa più difficile è cambiare la tua attitudine al bene e aver davvero voglia di essere persone buone, migliori, utili al mondo. Ciò è avvenuto attraverso le relazioni, il lavoro, la riscoperta dei talenti. Madre Elvira ha visto prima di me i miei doni, ha cominciato a farmi scrivere canzoni per i momenti liturgici e le feste delle comunità e di lì ho visto la mia relazione con Dio crescere anche nella musica che vedevo nascere da me».
Nella comunità Cenacolo incontri anche Francesca che poi diventerà tua moglie, la madre dei tuoi due figli – Samuele e Gioia – e la voce, insieme a te, dei Reale. Di lei scrivi: «Si è fidata del “noi” anche quando non si fidava di me. Si è fidata di Dio anche quando io non mi fidavo più. Si è fidata quando ha dovuto lavorare per tutti e due mentre io provavo a fare il musicista vero».
«È stato un dono incontrare l’amore della mia vita nella comunità e fare con lei un percorso simile, per cui oggi ci capiamo al volo. Ci siamo conosciuti nel coro della comunità e abbiamo vissuto un fidanzamento lungo, temprato nel fuoco, una nuova verginità alla luce di un cammino di fede insieme a persone che ci hanno voluto e ci vogliono bene. È bello vedere come da due rami secchi il Signore abbia saputo far germogliare delle foglioline visibili nei nostri figli e invisibili in quanto cerchiamo di seminare attraverso la nostra missione».
Da ‘Re Ale’ – in cui protagonista è il tuo ego da cantautore, a Reale, dove l’evocazione è piuttosto alla concretezza della realtà nelle cui pieghe riconoscere i segni della presenza di Dio. Hai deciso che avresti fatto il cantante dopo aver visto il Live at Wembley dei Queen, ma coniugare rock e Vangelo attraverso la Christian Music non è una sfida un po’ azzardata?
«In verità la Christian Music come etichetta comincia a starmi un po’ stretta. Di fatto ogni artista parla di ciò che ritiene importante, dall’amore, alla politica, alla natura. Per me è importante Dio; che ogni uomo trovi nel cammino di fede quella pace interiore per poter essere utile al mondo e costruire un mondo di pace. Per me la preghiera è importante, quindi la metto in musica. Forse ogni tanto è urlata, ma almeno urliamo cose sane rispetto alle schifezze gridate o dette anche in modo raffinato che passano per radio oggi».
A quale canzone sei più legato?
«“Ogni mia scelta” perché è una canzone molto semplice che tocca solo due corde della chitarra. Però lo Spirito ha ispirato una melodia unita a parole sempre attuali: “Affido a Te, eterno Padre, ogni mia scelta, decisione, ogni mia idea”. Ogni uomo sulla terra fa i conti periodicamente con questo dover ricominciare».
Il vostro tour ha fatto recentemente tappa anche a New York «per dire a tutti che esiste il vero Re», come scrivi in un tuo pezzo. Nel 2015 avete partecipato all’Happening degli oratori con papa Francesco. Quale la più grande soddisfazione sul piano professionale finora raggiunta e quali i progetti futuri sui palchi del mondo per raccontare ai giovani in musica le meraviglie di Dio?
«L’Asking for faith tour nel 2023, il nostro primo tour mondiale, ci ha portati a Fortaleza davanti a 200.000 persone e a Lisbona davanti a un milione e mezzo di persone, toccando anche altre città come Londra, New York, Norimberga, Medjugorje. Soprattutto in Brasile ho fatto duetti con cantanti molto famosi. Ora saremo coinvolti negli eventi del Giubileo degli adolescenti e dei giovani, rispettivamente il 26 aprile e il 3 agosto a Tor Vergata. Stiamo lavorando alla seconda edizione dell’Asking for faith tour nel 2026, nel quale speriamo di poter arrivare anche in Africa e Asia».
Ogni mattina prendi una boccata d’ossigeno davanti al Santissimo Sacramento, che definisci «una finestra che fa corrente tra il paradiso e la terra». Quanto è importante la vita spirituale per i Reale?
«È fondamentale. Certo ognuno è libero di vivere il proprio cammino di fede nell’intensità che vuole; c’è anche chi fra di noi si tiene stretti i suoi dubbi. Recitiamo il Rosario insieme ogni due settimane; ci incontriamo spesso e in ogni riunione c’è un momento di preghiera. Sul piano personale non potrei vivere senza la mezz’ora di adorazione eucaristica giornaliera. La vita spirituale è il nostro tarlo e la nostra salvezza; senza non ci sarebbe la profondità e non avremmo neanche cose da dire».